Cosa leggerò in questo articolo sulla tricopigmentazione fatta male, i danni che può causare e come rimediare ad essi?
Negli ultimi anni, la tricopigmentazione è sempre più richiesta. Detta anche dermopigmentazione del cuoio capelluto, questo trattamento rappresenta una soluzione innovativa, e soprattutto non invasiva ed indolore, a molte problematiche quali l’alopecia androgenetica (calvizie comune); l’alopecia areata; il camouflage delle cicatrici causate da traumi o interventi chirurgici; il post rimozione protesi capelli; e infine il post trapianto capelli, situazione in cui molti non ottengono la densità desiderata.
Il risultato ottimale è un nuovo look effetto rasato o una chioma a maggiore densità visiva, con una hairline armoniosa.
Purtroppo, però, cresce anche il numero di trattamenti di tricopigmentazione sbagliata. Basta fare una semplice ricerca su Google per imbattersi in immagini davvero agghiaccianti. L’impatto che può avere una tricopigmentazione fatta male su una persona che ha già affrontato il trauma della perdita dei capelli è devastante.
Vediamo insieme quali sono i danni, le cause e come porvi rimedio.
Pentirsi di essersi sottoposti alla tricopigmentazione è più frequente di quel che si crede.
Questo accade perché molti tatuatori o dermopigmentisti, più avvezzi ad occuparsi di tatuaggi, i primi, e di make-up permanente, i secondi, hanno cominciato ad offrire ai propri clienti trattamenti di trico cavalcando l’onda della maggiore richiesta. Molto probabilmente, ignoravano che questo trattamento di infoltimento capelli non chirurgico necessita di pratica, esperienza e abilità tecniche avanzate.
La tricopigmentazione – la tecnica, i pigmenti e gli aghi usati – differisce completamente dal trucco permanente e dal tatuaggio.
Una tricopigmentazione sbagliata può arrecare danni come macro-dots (macropunti), sovrapposizioni di punti, viraggio del colore che tende verso tonalità poco naturali o hairline dall’aspetto finto e artificioso.
Le cause che portano a risultati disastrosi sono diverse:
– Il mancato rispetto della misura e del posizionamento dei punti (dots). La grandezza dei punti deve essere quanto più simile a un follicolo pilifero, non più grande. Così come è importante che tra un punto e l’altro ci sia la giusta distanza.
– Una profondità non corretta. Nella trico, la precisione è indispensabile. Il pigmento dev’essere iniettato nello strato più superficiale del derma, non più in profondità come invece avviene nel tatuaggio.
– Uso di pigmenti e aghi non specifici. Il pigmento dev’essere biocompatibile, ipoallergenico e adatto al cuoio capelluto. Mentre, l’ago usato (se vuoi saperne di più in merito, ne parliamo in quest’articolo Aghi per tricopigmentazione, tatuaggi e dermopigmentazione) ha una punta liscia e delle pareti ruvide, caratteristica che consente al tricopigmentista di dosare al meglio la quantità di pigmento che viene iniettata. Usare un ago da tatuaggio significa riversare una maggiore quantità di pigmento che finirà per allargarsi e creare macropunti.
– La mancanza di esperienza e preparazione del tricopigmentista. Ultima causa, non per ordine di importanza. Per creare dei micropunti perfetti, simili al follicolo dei capelli, la mano del tricopigmentista deve muoversi nel modo giusto, con la giusta angolazione. Finezza tecnica che si acquisisce nel tempo con lo studio e la pratica.
La risposta è sì. L’aumento di danni estetici e risultati innaturali ha portato i tricopigmentisti più esperti a sviluppare dei protocolli di correzione.
È importante tener presente che si può intervenire per correggere un precedente trattamento fatto male solo se è stato utilizzato un pigmento da trico, dunque compatibile con lo scalpo. In caso contrario, cioè se è stato utilizzato un inchiostro permanente da tatuaggio, l’unica opzione possibile è la rimozione con il laser.
Se, invece, il danno è stato causato da errori tecnici – come la distanza tra punti, il movimento o la sovrapposizioni di punti – si può procedere con delle sedute correttive.
In base alla gravità del danno arrecato in precedenza, ci sono due metodi:
il primo consiste nell’aggiungere altri punti nelle aree vuote per creare maggiore equilibrio, omogeneità e densità. Un bravo tricopigmentista sa come ottenere la giusta densità senza fare errori di sovrapposizione.
Il secondo si utilizza quando c’è, per l’appunto, una sovrapposizione dei punti. La tecnica prevede l’innesto di pigmento color pelle per andare a “cancellare” i punti di troppo. Ad una prima seduta ne segue una seconda in cui si vanno a ridisegnare nuovi punti nella posizione giusta.
Entrambi i metodi richiedono precisione, preparazione e pazienza.
È vero che in ogni caso c’è sempre una soluzione (trattamento correttivo o rimozione laser). Ad ogni modo, sia l’una che l’altra non sono rapide né economiche né piacevoli.
L’unico modo per prevenire un risultato disastroso e non ritrovarsi con un aspetto finto e artificioso, che crea più disagio della mancanza dei capelli stessa, è scegliere un centro specializzato e un tricopigmentista preparato.
Crediamo che sia giusto cogliere al volo le occasioni che il mercato del lavoro ci offre, ma è fondamentale affrontare le sfide con la preparazione e gli strumenti giusti.
Affinché la tricopigmentazione sia efficace e porti ad un look naturale e desiderato, è necessario innanzitutto che la pelle del cuoio capelluto sia sana al momento delle sedute, cioè è necessario che non ci siano condizioni di dermadite seborroica, psoriasi o follicolite (problematiche a cui si può porre rimedio con cure mediche specifiche).
In questo modo, il pigmento si stabilizzerà al meglio nel derma, dando forma a quei micropunti che simulano visivamente i follicoli dei capelli.
Un tricopigmentista esperto e preparato prima di procedere con il trattamento vero e proprio, analizzerà lo stato di salute della pelle del cuoio capelluto del proprio cliente; progetterà l’attaccatura (hairline) e sceglierà la tecnica più adatta.
Altra caratteristica oggetto di analisi sarà il colore naturale dei capelli del cliente.
Il pigmento usato nella tricopigmentazione simula il colore della cheratina, ed ha una tonalità grigio-cenere. In base al colore dei capelli del cliente e della sua pelle, è possibile modulare il colore del pigmento, adattandolo alle diverse tonalità, dal biondo scuro al bruno.
Il colore e la sfumatura dei micropunti dipendono inevitabilmente anche dalla qualità del pigmento.
Proprio per questo nasce Pygmenta Black Rain, la cui formula è stata creata per ottenere un risultato finale naturale, realistico e armonioso che si adatti perfettamente sia ai primi lavori di tricopigmentazione, sia alle sedute correttive.
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